martedì 1 novembre 2016

Religione vs Pratica Spirituale




Spesso come insegnanti di yoga ci troviamo davanti a questa domanda: lo yoga è una religione?
La risposta è NO, lo yoga non è una religione, ma una pratica spirituale e per questo motivo non diventerà mai una religione. La spiritualità incoraggia le persone ad arrivare alla definizione di giusto e sbagliato attraverso la ricerca personale, la religione impone quella definizione dall'esterno. Nella spiritualità cuore e intelletto hanno la libertà di valutare il concetto di giusto e sbagliato negli insegnamenti che ci vengono dai maestri del passato, quando quella libertà viene meno la spiritualità perde energia e diventa una religione. Quando mente e cuore vengono manipolati e costretti entro i canoni altrui imposti dall'alto, il processo di crescita e trasformazione rallenta fino a fermarsi perchè la trasformazione è possibile solo quando applichiamo praticamente gli insegnamenti nella vita di tutti i giorni. Lo yoga richiede che si pratichi e si faccia esperienza diretta degli insegnamenti piuttosto che semplicemente credere nella loro bontà, richiede che si trovi la lampada e l'accendino e si accenda da soli il proprio lume, solo così si raggiungerà uno stadio più elevato. La maggior parte delle persone non è interessata a fare questo, il cammino richiede troppo sforzo e nessuno arriva mai a meno di averlo percorso tutto fino in fondo, senza scorciatoie o altri che l'abbiano percorso per noi. Solo chi cerca libertà e indipendenza è attratto da un cammino del genere.

Yoga vuol dire unione, di corpo e respiro, respiro e mente, mente e anima fino a connettere tutte le diverse parti che ci compongono, solo con questa connessione si cresce spiritualmente. La crescita si misura in base a quanto la pratica ci manchi quando nella giornata o nella settimana non riusciamo a trovare il tempo per farla. All'inizio si è presi dall'entusiasmo e durante e dopo la pratica ci si sente bene, sentiamo di aver fatto qualcosa di buono per noi stessi a livello fisico e mentale, la concentrazione ci apre il cuore e ci sentiamo puri e bendisposti verso il prossimo e verso il mondo. Più andiamo avanti, più la concentrazione aumenta e le posture vanno a sciogliere le impressioni di ricordi passati lasciati nel corpo, più la mente comincia a penetrare i livelli più profondi del subconscio. Una volta che non ci distraiamo più con i pensieri immediati della vita di tutti i giorni, la mente va a scavare nel cumulo di spazzatura che si nasconde sotto e comincia la seconda fase del cammino. Si cominciano a provare squilibri emotivi difficili da gestire: pensieri negativi, emozioni forti, rabbia, tristezza, depressione. Questo è il momento più difficile, in cui si è tentati di abbandonare il cammino e tornare alle vecchie abitudini perchè vadano a ricoprire quello che la pratica ha tirato fuori. Ma le abitudini sono create da comportamenti ripetuti che ci hanno portato alla situazione di disagio in cui siamo oggi e l'unico modo per superarla è quello di creare nuove abitudini attraverso altri comportamenti ripetuti che volontariamente decidiamo di assumere. Ecco perchè gli yoga sutra raccomandano di praticare con rispetto e per un periodo di tempo prolungato. Quanto prolungato? Non si può ragionare in termini di analisi costi-benefici, contando le ore di pratica e comparandole ai frutti che ne derivano perchè se non vediamo risultati tangibili ci scoraggiamo. La spiritualità non è un investimento a breve termine... è però l'investimento più prezioso perchè non c'è nulla di più appagante che trovare un significato spirituale nella nostra vita. Per rimanere ispirati ed evitare di scoraggiarci possiamo cominciare con obiettivi facili: la salute del corpo o imparare un tecnica, una volta raggiunti questi obiettivi capiamo che il progresso esiste, anche se bisogna andare oltre. Non fissarsi sulla meta finale e su quanto tempo ci vorrà per raggiungerla, semplicemente accettare che è la pratica di una vita nella quale dobbiamo trovare gioia solo per il fatto di farla, senza preoccuparci del risultato finale. E anche quando non abbiamo capito qualcosa o ci troviamo davanti a un cattivo insegnante la pratica ci porterà sempre qualcosa di buono perchè la Verità e la Guida sono dentro di noi. Se questo è il nostro obiettivo prima o poi lo raggiungeremo. Introspezione, regolarità nella pratica e circondarci di persone simili a noi sono parti essenziali del cammino spirituale, senza le quali lo studio dei testi e gli insegnamenti di un insegnante rimangono sterili. In ultima analisi il Guru è dentro di noi e solo realizzando questo fatto riusciremo ad andare avanti anche negli inevitabili momenti di sconforto e perdita di fiducia. Lo sforzo nella pratica è il bocciolo e la consapevolezza del Guru è il suo profumo. Solo coltivando il fiore con pazienza e permettendogli di sbocciare arriveremo a sentirne il profumo.

(Fonte: Inner Quest, Pandit Rajmani Tigunait, Ph.D,  Himalayan Institute Press)

lunedì 29 agosto 2016

Dove sta la tua Ahimsa?






Ahimsa è il primo degli Yama, le sane regole di vita consigliate dalla filosofia yogica per governare i nostri rapporti col prossimo, così come stabilite da Patanjali negli yoga sutra. Letteralmente non-violenza, intesa in senso materiale e fisico, ma anche come non violenza nelle parole, nei pensieri e come assenza di giudizio, perchè ogni azione violenta è preceduta da un pensiero violento che a sua volta è preceduto da un giudizio negativo. Ahimsa vuol dire coltivare il seme della compassione, verso il prossimo e verso il mondo che ci circonda, per vivere in armonia con tutte le sue creature. Vuole anche dire amore verso se stessi. Dalla pratica di Ahimsa nasce la scelta per uno yogi di non mangiare carne. Dico scelta e non imposizione: nessuno in India ti chiederà mai se sei vegetariano o se mangi prodotti di derivazione animale perchè a nessuno importa. Gli Yama non sono comandamenti imposti dall'alto, ma suggerimenti per vivere una vita migliore e raggiungere uno stato di coscienza più elevato, sta a te seguirli o meno e soprattutto non verrai mai punito se non lo fai. A sentirlo così sembra facile, infinitamente meglio di un comandamento divino che ti dica di fare o non fare qualcosa, ma siamo sicuri che sia così? Un comandamento che ti dica di non mangiare carne è semplice da comprendere, ma nel momento in cui viene introdotto un elemento di scelta le cose si complicano. Esistono mille motivi perchè uno scelga di diventare vegetariano: la carne non mi piace, mangiare vegetariano è più sano, ha più senso dal punto di vista ambientalistico, ma se scelgo di diventare vegetariano o vegano per praticare Ahimsa la cosa è diversa. Per esempio: la nonna, che non sa nulla del tuo nuovo cammino yogico e neppure è sicura di cosa voglia dire vegano, ti invita a pranzo e ti serve le sue famose lasagne al ragù. Ha ordinato al macellaio la carne migliore, è andata a comprarla, ha affettato le verdure a coltello e preparare il ragù le è costato tre giorni. Ma l'ha fatto volentieri e con tanto amore perchè è talmente contenta della tua visita che non ha neppure sentito la fatica. Cosa fai davanti a quel piatto? 'Scusa nonna, ma non posso perchè pratico yoga' oppure per una volta fai un'eccezione e mangi le lasagne? Nessuno ti dirà mai che una decisione sia meglio dell'altra, sta a te decidere dove cade la tua Ahimsa. Altro esmpio: la quinoa, cereale andino dai poteri miracolosi, pieno di sane proteine vegetali che risolve per sempre il problema della mancanza di proteine animali nella dieta vegana. Tu lo sai che la quinoa è l'unica fonte di cibo per tanti villaggi poverissimi sulle Ande e adesso che l'abbiamo scoperta anche noi, chi la produce trova infinitamente più redditizio venderla a noi che la paghiamo 5E al pacco al negozio biologico piuttosto che ai campesinos che di conseguenza soffrono la fame? 
E ancora, i jainisti in India non solo non mangiano prodotti di derivazione animale, ma neppure patate o carote o qualunque altra cosa che venga estratta dalla terra, per non correre il rischio di ammazzare i lombrichi durante la raccolta. E' una scelta: quella di portare la loro Ahimsa fino a quel punto, dove si ferma la tua? 
Qualche mese fa in Thailandia mi è capitato di fare 'morning merit': un'offerta ai monaci che con le loro tuniche arancioni e le ciotole in metallo, la mattina al sorgere del sole  girano silenziosi per le strade e si fermano davanti al mercato. Senza che loro chiedano nulla, la gente spontaneamente si avvicina e mette qualcosa in quelle ciotole, solitamente cibo appena comprato al mercato. I monaci vivono di quello che ricevono e se per caso nelle ciotole capita della carne, accettano anche quella. In Tibet non cresce tanta frutta e verdura, motivo per cui anche il Dalai Lama mangiava carne quando viveva là. Fare diversamente vorrebbe dire rimanere attaccati a un'idea, un concetto, un dogma, un'ennesima manifestazione dell'ego che non solo non ha nulla a che vedere con l'evoluzione spirituale, ma anzi la ostacola.
Il concetto yogico di Ahimsa è quello è di soppesare le conseguenze di ogni nostra parola o azione prima di esprimerla: possiamo avere le migliori intenzioni ma non sapremo mai che conseguenze avranno le nostre azioni una volte messe là fuori. Così come quando si pianta un seme, possiamo avere un'idea di quello che crescerà, ma non avremo mai la certezza. L'unica scelta che abbiamo è quella di agire con quanta più consapevolezza siamo capaci e sperare che accada il meglio così che dal seme dalle nostre azioni cresca una bella pianta.