martedì 21 gennaio 2025
Di sudore, respiro e altre cose
domenica 19 gennaio 2025
Indian Delights
Thali |
Chi mi conosce bene sa che in un'altra vita ho cucinato professionalmente. E' successo quasi per caso quando la mia amica Cookinglaura ha avuto bisogno di aiuto nelle sue avventure cuilnarie prima di aprire il ristorante, momento in cui le nostre strade si sono divise ma non prima di aver imparato tanto da lei. In realtà il mio amore per il cibo nasce da prima, pasticciando in cucina con le nonne, cucinando per famiglia e amici, vivendo sempre la preparazione del cibo come un atto d'amore verso chi a quei piatti è destinato, come un modo di dimostrare quell'amore al di là delle parole. E il cibo è sempre stato un mezzo per conoscere altre culture, immergermici a livello profondo, sia da residente come Irlanda, Francia, Belgio, Germania, sia da viaggiatrice. Questa cosa deve essere parte di me, scritta nel mio DNA, tanto che da bambina di meno di dieci anni, quando i nonni andarono in Cina nei primi anni ottanta, chiesi a nonna di scriversi la descrizione di tutto quello che avrebbe mangiato, cosa che lei fece puntualmente e puntualmente mi riferì. Ricordo pomeriggi interi a esaminare i suoi appunti di viaggio, ascoltando da lei i dettagli che non mi bastavano mai 'anatra caramellata? ma come?!' Così come un'altra fonte di meraviglia erano i libri della Banda dei Cinque di Enid Blyton dove, appartenendo alla generazione di Italiani allevata a merendine del Mulino Bianco e caffellatte ogni mattina, le descrizioni minuziose delle colazioni all'inglese evocavano modi di vivere esotici e infinitamente più interessanti... uova a colazione WOW!
Tutto questo per dire che tra un gennaio e l'altro continuo a ripetere 'non vedo l'ora di ritornare in India, fosse anche solo per mangiare.' E quando, a un mese dal ritorno, ogni anno puntualmente, nostalgica e speranzosa, ordino il primo takeaway indiano, puntualmente mi incazzo. A casa, con le spezie che sempre trovano spazio nella valigia anche se stracolma, cerco di replicare qualcosa di quello che ho gustato nel mio soggiorno in India, ma il risultato è sempre una pallida imitazione dell'originale. Speziato non vuol dire necessariamente piccante, ma da principiante il rischio è che se le spezie non vengono dosate al grammo, tutto finisce per avere lo stesso sapore, come da quelle pestilenziali boccette di curry giallo che troviamo al supermercato.
Samosas as they should be |
Lime pickle |
His Majesty. Masala Chai |
Manchurian Gobi |
More Manchurian Gobi, perchè non ce n'è mai abbastanza! |
Vegetable fried rice |
Butter paneer |
Mango and avocado salad |
Channa Masala, Chappati, Sechuan rice, palak paneer and crispy coconut potatoes |
Rice pudding! |
Palak paneer, vegetable korma, cucumber raita, garden salad and butter nan |
Commercialiste in consulto al California Hotel |
Cardamom cappuccino |
Welcome to the Hotel California |
venerdì 17 gennaio 2025
Backwaters
Venerdì è l'ultimo giorno della settimana per noi prima del giorno di riposo settimanale che, secondo tradizione, è il sabato. Lino propone sempre una Prima Serie guidata dove pratichiamo tutti insieme con i tappetini vicinissimi e ci muoviamo tutti allo stesso modo - a differenza di quello che succede nelle classi Mysore del resto della settimana- E' una classe in cui siamo tutti uguali, studenti di vari livelli che praticano tutti la stessa sequenza. Per me è quasi come un giorno di vacanza, la sveglia alle 6,00 anzi che alle 4,30, e solo la pratica semplice da fare, niente assistenze se non nella prima postura di equilibrio quando si lavora sempre tutti a coppie e ci si aiuta a vicenda, unica occasione anche per gli allievi di avere un assaggio di cosa voglia dire assistere in shala.
Dopo colazione con Manu, Denise, Laura e Flaminia abbiamo preso un taxi che ci ha portate a Poovar, il porto da cui è partita la nostra mini corciera. Siamo salite su una specie di gondola guidata da un signore con i capelli bianchi e poco inglese, arredata con sedie di legno e coperta da una tettoia. Infilati rudimentali giubbotti di salvataggio, siamo partite lungo un canale molto ampio e affollato di barchette a motore. La nostra era l'unica gondola e noi le uniche occidentali in giro, tutti gli altri gitanti erano chiaramente locali e gli occupanti di ogni barca che ci sorpassava si sbracciavano in saluti e sorrisi. Dopo circa venti minuti di andatura lenta e cadenzata lungo i bordi del canale dove abbiamo ammirato piante di mango, gelsomino del Kerala e varie specie di gru e aironi, la nostra barchetta ha virato verso il folto delle mangrovie e ci siamo addentrati in un vero e proprio labirinto di piccoli canali in cui spesso le piante delle sponde opposte si incontravano sopra le nostre teste formando un tunnel di verde. Addentrandoci sempre di più abbiamo costeggiato un villaggio in cui alcuni ragazzi si lavavano nell'acqua del canale e due ragazze facevano il bucato. L'atmosfera era molto surreale, soprattutto quando abbiamo costeggiato la moschea proprio quando si diffondeva il canto del muezzin, all'improvviso l'ambiente ormai familiare di Kovalam Beach ci è sembrato molto addomesticato, una versione dell'India parecchio edulcorata.
Usciti dal labirinto di mangrovie, attraverso un altro canale largo siamo arrivati a Golden Sand Beach dove ci siamo fermati per una breve sosta. Attraversata la piedi la spiaggia di sabbia effettivamente dorata siamo arrivati alla riva dove il Mar d'Arabia si estendeva in tutta la sua maestosità. Insieme a una folla di indiani siamo rimaste a guardare le onde potenti che si infrangevano sulla riva, una corda stesa come una barriera impediva a chiunque di avvicinarsi all'acqua, vietatissimo immergersi perchè troppo pericoloso. Dopo meno di 10 minuti il nostro gruppetto di cinque donne occidentali è diventato l'attrazione principale. Prima diversi bambini e poi sulla loro scia anche gli adulti si sono avvicinati per chiedere di fare delle foto con noi. Per quanto castigati, i nostri shorts in jeans e magliette smanicate attirano parecchia attenzione. Anche sulla spiaggia gli uomini indossano camicia e dothi, il pareo caratteristico dell'abbigliamento maschile, e le donne abiti lunghi e colorati con cui si immergono anche in acqua.
Tornate alla nostra gondola abbiamo continuato a navigare lungo i canali più grandi che ci hanno riportate al porto. Per l'ultimo tratto il nostro gondoliere ha chiesto un passaggio ad una barchetta a motore con due turisti americani a bordo: i due conducenti hanno legato le barche con una corda e la barca a motore ci ha trainato fino ad un incrocio in cui poi le due barche si sono separate andando ciascuna per la sua strada. Arrivate all'attracco con mezz'ora di ritardo abbiamo ripreso il taxi per tornare a Kovalam Beach, dopo aver ringraziato il nostro accompagnatore e compensandolo con una bella mancia per il tempo extra.
La giornata si è conclusa con una cena al Paradesh Inn, un bed and breakfast casa di una coppia italiana che si è stabilita qui vent'anni fa e ospita prevalentemente yogin e persone che vengono a Kovalam per i trattameti ayurvedici. La caratteristica del Paradesh è la sua posizione in cima alla collina e una stupenda terrazza vista mare da cui si può ammirare il tramonto. Il venerdì ha il sapore della vacanza e domani finalmente niente sveglia!
mercoledì 15 gennaio 2025
Vita da Yogin
Oltre la metà della seconda settimana, e anche Denise è passata con qualche giorno di ritardo rispetto a me e Manu da questa parte dello schermo. Posso finalmente dire che abbiamo una routine stabilizzata e che la pratica è arrivata a quello che deve essere dopo l'adattamento richiesto dal cambio di clima e abitudini. Vacanza non si può dire, ma routine lavorativa neanche perchè effettivamente le ore libere sono tante... e siamo in un posto di mare. E' verissimo però che tutto ruota intorno alla pratica e per me alla assistenza in shala, siamo qui per questo. Con quelle ore libere non possiamo fare altro che riposare, andare lontano, con il caldo, la sveglia presto e la shala 6 giorni a settimana non è pensabile, non reggeremmo il ritmo.
Non sto dormendo molto, neanche la notte, forse a causa del jetlag, forse del fatto che spegniamo la luce prima delle dieci di sera e che mi alzo alle 4,30, ma la mia notte è scandita da continui risvegli in cui la mente si attiva. C'è anche la teoria - non mia ma della mia amica farmacologa- che le spezie siano psicoattive e che ingerite in grande quantità diano questo effetto. La cucina indiana forse sarà un articolo a parte, perchè veramente lo merita!
La giornata è scandita dai suoni. La mattina molto presto, tra le 3 e le 4, anche se è ancora buio la giungla si risveglia e si comincia a sentire il canto di uccelli. Verso le 5,20, quando già sono in shala, dalla moschea nella parte opposta del villaggio comincia il canto del muezzin che si espande nel buio e raggiunge ogni angolo di Kovalam Beach. A seguire il Peacock Hotel risuona del nostro mantra, il Vande Gurunam che sveglia chi ancora è a letto perchè ha un orario di pratica più tardi. I mantra sono tantissimi, tutti belli, tutti che protano messaggi positivi di amore e trasformazione, ma il nostro è magico. Ha un potere nel suono e nel significato delle parole in sanscrito che fa venire la pelle d'oca. Quando la shala piena, qui, ma anche una molto più piccola come la nostra a Cagliari, si riempie delle note profonde del Vande Gurunam è un momento magico. Chi lo ha provato sa di cosa parlo, per gli altri non vi resta che venire a provare perchè l'effetto della vibrazione prodotto dal canto nel profondo del nostro essere, a livello di gola e cassa toracica, è indescrivibile!
Questa settimana prima pratico e poi assisto. Comincio alle 5,15 e finita la mia pratica mi cambio velocemente e rientro ad assistere. Oggi in totale ho passato quattro ore in shala. Dopo la pratica è il momento della colazione veloce offerta da Bijoy, il manager del Peacock hotel, in una zona all'aperto dove praticanti e insegnanti condividono spazio e caffè, un po' alla spicciolata perchè ciascuno ha orari diversi. Dopo colazione è il momento del bucato nel secchio: si lava e si stende. Se avessi saputo che la terrazza per stendere era così grande e che di conseguenza avrei potuto lavare così spesso, mi sarei portata la metà della roba. Per il tappetino ho sperimentato un miscela di acqua e aceto che sembra funzionare, ogni giorno lo ripasso con un panno umido e lo lascio asciugare all'ombra.
A metà mattina andiamo in spiaggia a leggere e riposare sotto l'ombrellone. Il mare è caldo e relativamente calmo, con acqua bassa per un bel tratto come al Poetto, ma regolarmente si alzano all'impovviso dei cavalloni che hanno una forza tale da ricordarti che non siamo nel mediterraneo. Certi giorni i bagnini mettono le bandiere rosse e proprio non si può entrare in acqua oltre metà polpaccio. Verso mezzogiorno andiamo a cercare un posto dove mangiare e la scelta ruota inevitabilmente intorno a 3 o 4 posti in cui ci si incontra con altri membri della comunità yogica. Il pranzo richiede tempo perchè i tempi di attesa sono indiani, abbastanza imprevedibili e spesso lunghi. Ogni tanto ci facciamo prendere dalla gola e ordiniamo troppo, così chiediamo che ci venga incartato quello che non riusciamo a finire e la sera lo finiamo nel patio dell'albergo. Quando questo capita, con 5 euro a testa pranziamo e ceniamo.
Le prime ore del pomeriggio sono dedicate al lavoro a casa. Ciascuna nella sua stanza apre il PC con il suono del ventilatore nel sottofondo e si collega con l'Europa che sta proprio in quel momento cominciando la giornata lavorativa. Al tramonto ci rincontriamo per andare a vedere il tramonto in spiaggia e fare un po' shopping. Le tentazioni sono tante e i prezzi invitanti. Ogni volta si torna a casa con la valigia che scoppia anche se cerchiamo di limitarci. A casa siamo abituati alla musica commerciale come colonna sonora del nostro shopping, qui invece nei negozi si sentono i toni ipnotici dei mantra e spesso sul retro si trova un altare a Shiva apparecchiato di tutto il necessario. Cena è una cosa molto veloce, per noi spesso nel giardino dell'Hotel California, oppure a finire gli avanzi del pranzo. Alle 20,30 siamo già in camera, non solo noi, ma anche tutti quelli che sono qui per praticare yoga o fare le cure ayurvediche in cui molti centri nel villaggio si specializzano. Alle 22 spegniamo la luce e la mattina dopo alle 4,30 il tutto ricomincia e così per tutta la settimana, dalla domenica al venerdì.
Nel paese dei balocchi |
Facce da tramonto |
lunedì 13 gennaio 2025
Lunedì Luna
domenica 12 gennaio 2025
Una giornata a Thiruvananthapuram
Padmanabhaswamy Temple |
Cominciamo dal nome: thiruv-anantha-puram, la città del signore Ananta. Pronunciandolo una cinquantina di volte di seguito c'è la speranza di riuscire a memorizzarlo correttamente. Gli inglesi non se ne sono mai preoccupati e hanno semplificato in Trivandrum. Siamo nella capitale dello stato del Kerala il cui simbolo è il tempio Padmanabhaswamy che contiene una statua reclinata del dio Padmanabha, una incarnazione di Vishnu, che dorme sul serpente Ananta. Il serpente arrotolato sulle proprie spire forma un letto su cui il dio dorme un sonno yogico, cullato dalle onde dell'oceano universale. Nella religione induista il ciclo della vita è governato da tre divinità principali, Brama che rappresenta la nascita, Vishnu la vita e Shiva la morte. Il tempo in cui l'uomo vive è quello più lungo rispetto alla nascita e alla morte che vengono viste come eventi momentanei e quindi Vishnu è il dio più importante e venerato. La città di Thiruvananthapuram gli ha dedicato una statua lunga 18 metri attorno a cui ha costruito il tempio dal quale si sviluppa l'esistenza della città stessa. L'origine del tempio risale a 5 mila anni fa. Nel tempo è stato ricostruito e ampliato fino alla forma odierna in granito che è stata realizzata nel diciottesiomo secolo. L'ingresso ai non hinduisti è proibito per cui dobbiamo accontentarci delle immagini da fuori, anche a una certa distanza. Oltre che per motivi religiosi la distanza è dovuta a motivi di sicurezza perchè nel 2011 in alcune stanze segrete sotto il tempio è stato trovato un tesoro di oro e gioielli la cui origine non è ancora chiara.
Prima di portarci a fare la foto della copertina della guida turistica allo stato del Kerala, il nostro autista ci ha portate al tempio di Attukal Bhagavathy, il tempio delle donne, nel quale siamo invece potute entrare, ma niente foto, assolutamente proibite, dovete accontentarvi della mia descrizione. E' un tempio entrato più volte nel guinness dei primati per un festival che si tiene annualmente in cui le donne si riuniscono intorno al tempio e cucinano un dolce di riso come offerta a Parvati, la moglie di Shiva, a cui il tempio è dedicato. Nel 2009 il numero di donne partecipanti all'evento è stato 2,5 milioni.
Una volta parcheggiato in uno sterrato dove autobus locali, macchine private e tuc tuc sostavano in ordine sparso, abbiamo attraversato la strada con la nostra guida che fermava le macchine perchè non ci asfaltassero -si fa per dire, asfalto ne abbiamo visto poco. Siamo entrate nel cortile antistante la porta del tempio dove abbiamo lasciato le ciabatte e comprato delle corone di fiori da portare in offerta. In India ci sono tre posti in cui non si entra mai a mani vuote: il tempio, una casa con una donna incinta e una casa in cui c'è un neonato. Seguendo la fila dei fedeli anche io, Manu e la nostra guida ci siamo incamminati attraverso la porta che introduce a uno spazio aperto, come un cortile interno, in cui si procede seguendo un percorso che porta davanti a piccoli templi, ciascuno abitato da una statua di una delle divinità induiste a cui i fedeli pregano. Io e Manu le uniche occidentali per tutta l'esperienza. Il cortile è parzialmente coperto da un tetto in rame attraverso il quale l'energia si diffonde. Religione a parte, i luoghi di culto sono posti ad elevato contenuto di energia, catalizzata dalle statue e immagini sacre. In occidente ci scambiamo questa energia con il contatto fisico, la stretta di mano, l'abbraccio, mentre in oriente per motivi igienici si uniscono le mani davanti al petto, con i pollici a contatto dello sterno e ci si saluta così. L'energia si scambia attraverso la punta delle dita, da una persona all'altra, senza toccarsi, come utilizzare un wireless. Unendo le mani davanti al petto nel tempio delle donne ho sentito la punta delle mie dita formicolare, come se trasmettessero una leggera scossa elettrica. Proseguendo nel percorso obbligato, la nostra guida ci ha segnato la fronte prima con la cenere, per asciugare l'umidità della doccia mattutina, poi con la curcuma che fa da antisettico e protegge dai mali, poi con la polvere di sandalo che calma il sistema nervoso e apre la strada alla spiritualità.
Abbiamo avuto la fortuna di assistere a due riti, protagonisti di entrambi i bambini. Nel primo, il bambino veniva pesato su una grande bilancia a due piatti, su uno stava il bimbo e sull'altro la famiglia metteva il corrispondente del suo peso in cibo che veniva poi lasciato in offerta al tempio il quale a sua volta ne restituisce 1/3 alla famiglia. La mamma del bambino ci ha offerto una banana che abbiamo ricevuto con due mani scambiandoci grandi sorrisi. La nostra guida ci ha spiegato che il cibo è l'offerta migliore e più gradita anche perchè è l'unica di cui si può dire per certo di aver avuto abbastanza: una volta sazi si smette di desiderare, al contrario di oro o denaro. Nel secondo rito abbiamo assistito effettivamente a uno svezzamento, una bimba di 6 mesi o giù di lì che per la prima volta assaggiava tutti i sapori della cucina indiana: dolce, salato, amaro, agro e piccante. La bimba era in braccio a mamma e papà, con i fratellini intorno, tutti vestiti a festa e con un fotografo che faceva delle foto ufficiali. Proseguendo nel percorso ci siamo imbattuti in una pujia, una cerimonia propiziatoria in cui viene usato il fuoco per rimuovere gli ostacoli e invocare le benedizioni. Anche noi come gli altri in pellegrinaggio abbiamo steso le mani aperte verso la fiamma e portato quell'energia al viso proseguendo poi verso l'uscita. Qui abbiamo notato che sui pilastri in pietra erano scolpite delle scene dal Kama Sutra e la guida ci ha spiegato che anticamente avevano uno scopo educativo, per ispirare i giovani e insegnargli cosa fare, cosa che apparentemente oggi non è più necessaria, ma le sculture rimangono!
Recuperate le ciabatte, siamo risaliti in macchina, tappa successiva è stata la pausa caffè. La nostra guida ci ha portato in un posto specialissimo! Indian Coffee House a Thampanoor, una incredibile costruzione che si sviluppa come una chiocciola in modo da ospitare più clienti possibili. L'architetto è Laurie Baker, un inglese che ha vissuto molti anni India progettando costruzioni a basso costo e a basso impatto ambientale, a vantaggio della parte più povera della popolazione. La costruzione a Thampanoor è dotata di un sistema di aerazione naturale attraverso piccole finestre che consentono di rinfrescare l'ambiente anche nei giorni più caldi. Con meno di 200 rupie, poco più di 2 euro, abbiamo preso un ottimo caffè in tre e offerto la colazione - masala dosa, un pancake grande quanto il piatto ripieno di patate e spezie e servito con varie salse e due ciambelle alla farina di lenticchie- al nostro accompagnatore. Ancora una volta io e Manu eravamo le uniche persone occidentali.
Terza tappa è stato lo shopping, una visita veloce da Fabindia, una catena di negozi di artigianato e abbigliamento frequentato sia da locali che dai turisti. Sfortunatamente le cose più belle non sono facilmente trasportabili, anni fa ho spedito una bellissima trapunta che è stata bloccata alla dogana e costato far entrare in Italia una cifra che era il doppio del suo prezzo. Abbiamo invece comprato in un negozio di tessuti locale degli asciugamani in cotone per la pratica. La gita si è conclusa con un giro in macchina per la città che ci ha portati davanti all'università, al parlamento, a vari spazi espositivi all'aperto e MG street. Ogni città in India ha una strada principale chiamata MG street, in onore al Mahatma Gandhi. La temperatura è parecchio alta, il sole forte e il traffico intenso, ogni spostamento in macchina o a piedi richiede parecchia energia, per cui questa è stata la fine della nostra giornata nella capitale.
Tornate al Peacock Hotel di Kovalam abbiamo salutato la nostra guida ringraziandolo per la giornata trascorsa insieme e con la sensazione di esserci immerse in una parte della cultura locale in un modo che da sole non avremmo mai potuto fare. La giornata si è conclusa con il tramonto del sole e un bell'acquazzone tropicale davanti a un takeaway che avevamo provvidenzialmente ordinato e ritirato poco prima che venisse giù il diluvio... in attesa dell'arrivo di Denise.
Il tempio delle donne |
venerdì 10 gennaio 2025
In shala con Lino
Siamo qui per questo, è ora di parlarne! Per i praticanti di Ashtanga Vinyasa Yoga Lino Miele è una figura leggendaria. Per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo è un uomo estremamente carismatico e autorevole, ma con un lato giocoso e una grande empatia che lo rendono estremamente umano. Lino ha imparato questo stile di Yoga dal suo insegnante, Sri KP Jois. Si sono incontrati a metà degli anni ottanta quando durante un viaggio in India Lino e sua moglie Tina, alla ricerca di un insegnante di Yoga, dopo varie esperienze sono capitati a Mysore nella shala di Pattabhi Jois. La shala era piccola, conteneva al massimo 10 persone, chiusa da una tenda attraverso la quale Lino e Tina videro per la prima volta una classe di Ashtanga Yoga, persone che respiravano e si muovevano in un modo che per loro due, arrivati freschi dall'Italia, era completamente alieno, con l'insegnante, un omone di notevoli dimensioni, che correggeva le posture, allinenado i corpi individualmente, modellandoli seguendo il loro respiro. Lino racconta che Tina avesse velocemente richiuso la tenda alla quale si era affacciata dicendo 'A me quello le mani addosso non le mette!' Poco dopo Pattabhi Jois si affacciò chiedendo 'What do you want?' e così i due giovani italiani decisero di provare anche quell'insegnante nella loro ricerca di un maestro.
Come spesso accade ai principianti, dopo che si gira un po', quando si trova il proprio stile e il proprio insegnante ci si ferma e lì si rimane, come aver trovato la scarpa su misura, niente altro ci fa sentire meglio. E così fu che Lino e Tina cominciarono a frequentare la shala di Pattabhi Jois, anno dopo anno, passando lunghi periodi in India per imparare da lui questo stile affascinante che attraverso respiro e movimento cambia profondamente corpo e mente, bruciando cattive abitudini e comportamenti autodanneggianti insieme a energia e sudore, cambiando modi di pensiero e percorsi neurali che per anni hanno scavato il letto di fiumi profondi nel nostro pensiero, deviando il corso di quei fiumi verso direzioni infinitamente più positive. Lo chiamavano 'Il Leone di Mysore' e poco per volta tanti occidentali iniziarono ad affacciarsi alla tenda di quella piccola shala, incantati da quella magia la cui fama cominciò presto a diffondersi, che li spingeva a viaggiare lontano per conoscerela.
Lino fu uno dei primi a capire che quelle strane parole che il maestro diceva durante la pratica fossero numeri. John Scott racconta che un giorno Lino gli disse 'John, sta contando!' e da lì cominciò il loro studio del sistema del vinyasa, dove ad ogni movimento corrisponde un atto respiratorio e ogni postura in sequenza ha un numero preciso di movimenti e respiri. E' stato Lino con la benedizione del suo maestro a mettere per iscritto il sistema del vinyasa. Il suo libro 'Lo Yoga del Respiro' è il testo di riferimento per la pratica dell'Ashtanga Yoga a livello mondiale.
Dopo aver ricevuto l'autorizzazione a insegnare da Pattabhi Jois Lino ha cominciato a condividere Ashtanga Vinyasa Yoga in tutto il mondo, aprendo scuole in Danimarca, Svezia, Sudamerica, Russia, Italia e scegliendo come base il Peacock Hotel a Kovalam Beach in India dove al momento ci troviamo. Ogni anno, tra fine Novembre e inizio Febbraio centinaia di praticanti vengono da tutto il mondo per imparare da Lino il sistema dell'Ashtanga Vinyasa così come a lui tramandato da Pattabhi Jois. Si dice che un grande insegnante sia come un vaso vuoto, che si riempie della conoscenza ricevuta dal proprio insegnante e così com'è la versa tale e quale al proprio allievo, senza modificare, abbellire o inventare niente quando il sistema è già perfetto. Questo fa Lino e questo pretende dai suoi assistenti. Tutto collima precisamente con quanto ho imparato precedentemente sul mio cammino in questo mondo dello yoga, il messaggio è sempre universalmente lo stesso: 'onora la fonte'.
Arrivate a destinazione dopo le 10 di sera e dopo il lungo viaggio, il primo giorno siamo salite in shala alle 8,30 e fatto una pratica leggera, ma già dal secondo giorno il nostro orario di inizio è stato le 6,30. Si pratica in stile tradizionale, in shala si avvicendano 100-150 persone al giorno, con orario di inizio scaglionato fino a che ci siano praticanti. Arrivato il proprio orario, ciascuno stende il tappetino quando viene chiamato da Lino e comincia la sequenza, sempre la stessa, che con l'esperienza diventa più lunga e impegnativa. La ritualità di movimento unito a respiro in una sequenza sempre uguale porta ad uno stato di meditazione in movimento nel quale si è totalmente presenti. La pratica dura per ciascuno un'ora e mezza-due, poco più o poco meno, dopo il rilassamento finale si arrotola il tappetino e si va via per poi ricominciare il giorno dopo alla stessa ora, per sei giorni a settimana, con il sabato di riposo e i giorni di luna piena e luna nuova una versione ridotta della pratica o riposo. Due sere a settimana si torna in shala per un paio d'ore per pranayama e quello che Lino chiama 'playground', sessioni in cui i praticanti lavorano in coppia e hanno la possibilità di approfondire aspetti sottili della pratica come attivazione dei bandha -muscolatura profonda di pavimento pelvico e basso addome- e tecniche di respirazione. Sempre c'è lo spazio per domande e risposte con l'insegnante.
Il quarto giorno ho iniziato ad assistere in shala. Siamo in 10 assistenti, più gli insegnanti: Lino, Desirèe e Rossana. Con gli assistenti lavoriamo a coppie, quando uno pratica l'altro assiste, il che vuol dire che pratichiamo insieme agli allievi e in shala ci sono sempre 8 persone che lavorano, i 3 insegnanti e 5 assistenti. Vuol dire che ho anticipato la sveglia sul telefono alle 4,30 e devo essere in shala per le 5. Fino ad ora ho prima fatto assistenza e poi praticato, un'ora e mezza ciascuna, salvo rientrare in shala ad assistere anche dopo aver finito la pratica quando c'è bisogno. Quando il numero dei praticanti comicia a rallentare entrano i principianti assoluti e Desirèe tiene una classe guidata mentre gli ultimi praticanti stanno finendo. Questa settimana siamo veramente tanti.
Dal punto di vista della mia formazione come insegnante l'esperienza è impagabile. Ci troviamo davanti ogni forma di corpo, età e condizione, persone con problematiche fisiche e psichiche importanti, veramente qui dentro ci si rende conto che l'Ashtanga Vinyasa è per tutti. Gli insegnanti ci hanno dato una formazione di base e ci informano delle problematiche più gravi, ma siamo noi a doverci regolare davanti all'allievo e assisterlo nel modo corretto, vedendo il corpo e non la forma ideale della postura, aiutando ciascuno a raggiungere il proprio pieno potenziale di quel giorno, senza mai andare oltre. E' sul campo che si impara, una cosa è la pratica personale, cosa totalmente diversa è l'insegnamento. Intuito ed empatia sono requisiti fondamentali per potersi destreggiare. E la prima settimana si è conclusa così, oggi venerdì con una Prima Serie guidata per tutti, da Lino nella shala principale e da Desirèe per i principianti nella shala piccola. Domani sarà giorno di meritato riposo e domenica mattina alle 5,00 comincerà una nuova settimana.