Suppongo che l'idea ci sia sempre stata, lasciarsi la quotidianità alle spalle e partire alla scoperta di nuovi mondi, non come turisti, con una vacanza organizzata da uno che lo faccia di mestiere, ma come viaggiatori, padroni del nostro tempo e liberi di cambiare programmi all'ultimo momento, anche lasciando non poco al caso. Non l'abbiamo fatto quando era il momento più adatto, quando eravamo solo in due e avevamo molti più soldi, per cercare di essere sensati, tante cose da portare a termine prima: comprare casa, scegliere un posto in cui mettere radici, assicurarsi una pensione. Poi sono arrivate Nina e Sara e a quel punto l'idea è stata accantonata come un sogno da realizzarsi, forse, una volta che le bambine fossero cresciute e ci fossimo ritrovati di nuovo in due, magari con niente più da dirci.
Per anni mi sono convinta che la casa fosse la chiave: dopo quasi dieci vissuti in affitto in paesi diversi era impossibile sentire di appartenere da nessuna parte, se solo fossimo stati capaci di legarci ad un posto, allora la serenità sarebbe arrivata di conseguenza. Tante volte ci siamo andati vicini, ma all'ultimo momento ci siamo sempre tirati indietro, incapaci di fare il passo per paura... di cosa? Chiudere le porte, sentirci in trappola, legare le nostre vite ad un unico posto, qualcosa del genere. Casa erano tutte le nostre cose, i libri, la musica, il tappeto sardo davanti al caminetto, lo specchio turco della mia amica Deniz e tutte le cose che ci siamo tirati dietro per anni in ogni posto in cui abbiamo vissuto. Il guscio è arrivato molto dopo, solo tre anni fa quando si è presentata un'occasione che sarebbe stato un suicidio finanziario lasciar perdere.
Fatto il passo e finalmente proprietari del nostro non proprio piccolo pezzo di terra, dipinto la camera da pranzo di arancione, le librerie di verde e sistemato tutte le nostre cose, mi sono seduta sulle scale con una tazza di caffè in mano ad ammirare il mio lavoro e mi sono detta: "E adesso?" L'inquietudine era sempre lì, la casa serviva solo a contenerla in uno spazio più ristretto che la rendeva tanto più soffocante.
Ho acceso la radio e sono capitata su un'intervista a Christine Breen che parlava del suo libro "So many miles to paradise" in cui descriveva la sua esperienza di viaggio intorno al mondo con marito e due figli. L'idea è tornata, in uno di quei rari e preziosi momenti in cui sai con tutto il tuo essere di fare la cosa giusta, ho preso il telefono e detto a Brendan: "Andiamo!" Io avrei venduto casa e sarei partita immediatamente, ma la mia metà è un po' più razionale e mi ha convinta ad aspettare un po' per poter organizzare le finanze in modo tale da tenere il guscio ed avere un qualcosa a cui tornare.
Ci siamo messi a tavolino con l'atlante aperto di fronte a noi e una lista dei desideri lunga diversi fogli. Quando abbiamo dovuto fare i conti con la realtà la lista è stata opportunamente ridimensionata a tre continenti ed un budget di 60 mila euro, con una rete di salvataggio di altri 20 mila. Ce la faremo? Non lo sappiamo, ma anche questo fa parte della sfida.
Ascoltando Noir Désir: Le Vent Nous Portera
lunedì 29 ottobre 2007
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2 commenti:
Mia carissima Le,
leggere tutto questo po' po' di roba mi sta mettendo addosso molta nostalgia - di cosa non saprei - e notevole emozione. Volevo ricordare e raccontare una cosa, che credo non abbia dimenticato, io sicuramente non l'ho fatto. Nel lontano '95, una volta arrivata a Dublino anche tu e non appena conosciuto il non-ancora-marito tecnologico, vi ricordo chiacchierare al pub di qualcosa di molto preciso, in mia presenza: volevate fare il giro del mondo insieme, o forse lo voleva ognuno di voi ed insieme avete trovato la forza di farlo, oggi, 13 anni dopo. Complimenti, questa si che è pianificazione!!
La tua memoria è decisamente migliore della mia... sicuramente l'idea io ce l'ho da tempo, se mi dici che ce l'aveva anche lui ti credo. 13 anni dopo la realizziamo, ma non la chiamerei pianificazione, solo lavoro duro, un po' di incoscienza e le giuste congiunzioni astrali!
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