La prima volta che entrai nella shala di Himalaya Yoga Valley a Cork rimasi colpita dal senso di pace che la semplicità del posto emanava. Muri rustici dipinti di bianco su pavimento in legno irregolare, qualche nicchia per conservare i tappetini e sulla parete di fondo, incorniciati dalle grandi finestre, due ritratti in gigantografia di Tirumalai Krishnamacharya, il maestro dei maestri, e un altro guru di cui non conoscevo ancora il viso ma di cui sicuramente avevo già sentito il nome, Swami Rama dell'Himalaya. I praticanti entravano soli o a piccoli gruppi. Dopo aver steso il tappetino si sdraiavano supini e allineati nella posizione di rilassamento, chiudevano gli occhi e si concentravano sul respiro. I pochi che scambiavano due parole lo facevano sottovoce per non disturbare. Anch'io feci come gli altri, posizionando il mio tappetino vicino al muro, circa a metà sala, scegliendo una posizione il più anonima possibile per cercare di sparire in mezzo alla folla di yogi sconosciuti. La mia era impresa difficile, visto che in piena estate venivo direttamente dalla Sardegna e la mia abbronzatura stonava come una voglia scura sulla pelle irlandese.
Lalit si affaccendava ad allineare tappetini e far spazio per gli ultimi arrivati. Dirigeva il traffico in maniera cortese ma perentoria, senza lasciar spazio a discussioni su posti preferiti o spazi personali. I tappetini venivano posizionati a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro, lo spazio di ciascuno definito dal rettangolo colorato di gomma sul quale per la successiva ora e mezzo si sarebbe allungato e annodato. Precisamente all'ora d'inizio, Lalit si mise di fronte alla stanza piena, 'Questa non è una classe principianti,' sorriso sulle labbra e grazioso dondolamento del capo. 'Se ci sono dei principiati si spostino cortesemente nella sala accanto dove si tiene la loro lezione.' Mi chiesi se non avessi fatto meglio a fare una scelta un po' meno ambiziosa di una prima serie di ashtanga come prima pratica. Nessuno si mosse. 'Uniamo le mani a preghiera davanti al petto e recitiamo il mantra.' Partì il primo OM della classe, un po' timido e tentennante nel fare da eco a quello di Lalit. Il secondo risuonò più deciso, più convinto, al terzo, ormai forte e sicuro, si unì anche la mia voce. Mi preparavo e recitare il primo verso del 'Vande Gurunam', il mantra che sempre avevo associato all'ashtanga e che stavo ancora faticosamente memorizzando riga per riga, ma la mia sorpresa fu grande quando una nuova melodia riempì la shala. Parole mai sentite prima, alla musica delle quali, passato il primo momento di stupore, mi abbandonai. Non sapevo cosa stessi recitando, ma la mie corde vocali vibravano di quei suoni in sanscrito e ancora una volta la mia voce si univa a quella della classe. Il mantra terminò con Shanti Shanti Shanti, almeno il significato di questa parola lo conoscevo, pace. Cominciammo a praticare. Cinque Saluti al Sole A, cinque Saluti al Sole B, mi muovevo leggera al suono dei comandi e al ritmo del mio respiro, i dieci saluti al sole di riscaldamento scivolarono via e non mi sentii più tanto fuori dal mio mondo. La prima regola in una classe di yoga è quella di lasciare fuori l'ego, prestare attenzione solo alla propria pratica senza guardare in giro e soprattutto senza paragonarsi con gli altri. Ogni postura richiede che lo sguardo vada a concentrarsi su dei punti stabiliti, le mani, il naso, l'ombelico, anche volendo, non c'è proprio spazio per vedere cosa faccia il vicino. Quella volta peccai molto. A mia discolpa, ero entrata per la prima volta in una classe di più di trenta persone, preoccupata di non essere all'altezza, con la paura di essermi spinta oltre il mio limite in un territorio al quale, venendo dal power yoga (derivato dall'ashtanga ma modificato per l'Occidente), avevo paura di non appartenere. Cominciammo la sequenza in piedi. Lalit girava tra i praticanti aggiustando un cane a faccia in giù, allineando un triangolo, accompagnando una torsione. Si spostava veloce e con grazia tra uno e l'altro, occasionalmente dimostrando come chiudere una postura. Quello che mi colpiva era la sua estrema leggerezza e facilità di movimento, tutto sembrava venirgli semplice, senza alcuno sforzo. Per quanto mi riguardava, sembravo aver soddisfatto la mia necessità di invisibilità, Lalit mi passava accanto senza mai alzare lo sguardo, appariva non vedermi. Arrivati a Prasarita Padottanasana C, mi resi conto con stupore che solo la mia testa toccava per terra, tutte quelle che il mio campo visivo abbracciava da quella posizione capovolta, erano a mezz'aria. Mentre stavo lì a testa in giù a chiedermi come mai, un buco nella mia cortina di invisibilità, sentii che Lalit mi prese le mani. Sapevo cosa mi stesse chiedendo. Mi concentrai sulla punta del naso, sul respiro lungo e profondo e mi affidai completamente alle sue mani. Al terzo respiro sentii le mie mani che toccavano terra. Per altri due respiri, infinitamente lunghi, scanditi dal suo conteggio, mi abbandonai alla postura, poi lentamente, guidata da lui, tornai in posizione eretta. Non feci in tempo a dire grazie che lui era già passato a un altro e la sequenza andò avanti. Finimmo le posizioni in piedi e passammo alla parte a terra, Paschimottanasana A, e di nuovo una mano sulla schiena, con una pressione dolce ma decisa mi portò a incollare il petto alle gambe. Mezzi loti, allungamenti, torsioni, ci fermammo a Navasana prima di iniziare la sequenza di chiusura. Arrivati a Sirsasana, il re delle posture, la prima delle posizioni sulla testa, cominciai a sentirmi a disagio, fuori dalla mia zona comoda. Tutti, nessuno escluso, a modo loro si cimentavano, io esitavo. Era uno di quegli asana che avevo acquisito grazie all'Iyengar, ma ancora non lo sentivo mio e usavo il muro per appoggiarmi. Qualcosa stonava, mi rendevo conto che chi faceva Saluti al Sole puliti e triangoli allineati come i miei, andava anche sicuro sulla testa, con un Sirsasana bello forte e senza supporto. Il mio era da pulcino. Mentre Lalit andava in giro ad aggiustare un allineamento delle gambe o ad aiutare chi volesse azzardare la postura in mezzo alla stanza, a me non si avvicinò neppure, lasciandomi al conforto del muro, il mio punto di riferimento. Finimmo la sequenza con il rilassamento guidato al termine del quale Lalit raccomandò di cambiarci al più presto gli indumenti bagnati, eravamo tutti fradici come usciti dalla doccia. Arrotolammo i tappetini e, facendo attenzione a non scivolare sulla condensa che si era formata sul pavimento, lasciammo la shala. Ero sopravvissuta, avevo praticato la sequenza fino alla fine, cosa ancor più importante avevo praticato fino alla fine respirando nel modo giusto. I miei movimenti erano stati sufficientemente coordinati al respiro da aver tenuto il battito cardiaco ben sotto controllo e l'espressione del viso rilassata. Conoscevo bene i vinyasa, quella sera avevo fatto yoga. Il primo sentimento fu di gratitudine, per Roberto Bocchi che mi aveva insegnato le basi, per Sabrina Lai nelle cui classi avevo per anni praticato, mentre continuavamo a studiare insieme la disciplina che nel corso di quegli stessi anni Roberto, con rigore e precisione ci trasmetteva, per Steve Testolin che durante le vacanze estive aveva generosamente dedicato a me e ad altri pochi appassionati l'alba alla spiaggia del Poetto, aiutandoci a ripassare e limare, allineare e respirare. Realizzai così che, grazie alla preparazione e serietà di chi mi aveva fino a quel momento formata, in tutto quel tempo impiegato a prendere le certificazioni di power yoga, avevo in realtà sempre studiato sequenze di ashtanga. In una catena in cui io ero l'ultimo anello ma che attraverso Roberto e Lino Miele arrivava fino al grande maestro che ha portato l'ashtanga in Occidente, S.K.P. Jois, avevo imparato le basi, ed erano molto solide. Mi resi anche conto che era arrivato il momento di costruire su quelle basi e che a questo scopo, Lalit mi era piovuto come una benedizione dal cielo pazzo dell'Irlanda.
2 commenti:
hei!
ma Lino Miele è diabolik!
osserva:
lino vs diabolik1 e diabolik2
Lino Miele è MOLTO meglio di Diabolik. Diabolik vismamitrasana non te la sa fare...
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